Sotto il pallone

Wednesday, June 25, 2008


Rieccolo, sui prati inglesi

Nuova stagione. Non ne perdo uno, si direbbe, dei grandi eventi sportivi internazionali che hanno scandito l'estati di noi italiani dall'antica stagione dei Mondiali parigini di atletica a oggi. Passando per un'olimpiade (ma quella l'ho persa, ammettiamolo, recuperata per la collottola giusto nel mio Come sopravvivere agli italiani), un Mondiale vinto dall'Italia e un Europeo, in corso, nel quale però l'Italia mesta non si desta, quasi per un refuso, una cancellatura nella fotocopia dell'inno di Mameli che qualche anziano (Buffon) aveva dato a qualche giovane (che ne so... Borriello?) fra i corridoi del ritiro azzurro.

L'Italia s'è mesta, l'Italia è mesta, dunque, verso la fine di questo giugno 2008, verso la fine di questo campionato, e nell'imminenza dell'Olimpiade cinese, che il vostro sottocronista sportivo preferito s'appresta duramente a seguire dai banchi di un quotidiano vero e proprio. Un quotidiano, diciamo. Chi abita a Roma può comprarselo in edicola e leggere i sapidi e asciutti resoconti miei e dell'amica Eva (Schelling), attualmente concentrati soprattutto su Wimbledon. Scrivere di tennis, di Wimbledon... Un sogno, si direbbe. Ma è un sogno che costa caro: al quotidiano s'entra alle 12 e se n'esce dopo le 23.30. Considerati gli amari tempi mi tocca lavorare anche la mattina, prima delle 12, dunque, per un altro quotidiano del Sud, il che occupa fra le due e le tre ore e mezza. Il tutto per sei giorni a settimana.

Il conto è presto fatto: l'amico vostro Zardo lavora in media 13 ore al giorno, per un totale (faccio il conto io per voi) di 78 crude ore a settimana. E senza uscire all'aria se non per spostarsi dalla casa agli uffici, rapidamente, con la Vespa.

Cosa porta un giornalista professionista ad appiattirsi il culo tanto a lungo, davanti a televisori e Pc, per rimediare meno di duemila euro al mese (sensibilmente meno, ma se lo scrivo così, scusatemi, suona meno depressivo prima di tutto per me)? Risposta: la non disponibilità d'altro, in amari tempi in cui il lavoro intellettuale s'è deprezzato e depresso. In tempi in cui, aggiungo, il margine di qualificazione del giornalismo come lavoro intellettuale s'è avvizzito a sua volta, e la maggior parte del tempo che passo al giornale sto attaccato al telefono, al mouse e alla tastiera soprattutto per logorare il tasto control, il tasto C, il tasto V della tastiera: il resto è contrabbando. Il resto dei tasti li uso di contrabbando, azzecco di nascosto fra le pagine del mio giornale termini che non hanno precedenti in tutte le edizioni del medesimo.

Va capitalizzata, però, quest'esperienza. Le 78 ore di lavoro diverranno almeno 78 più sei, perché il tutto va raccontato a qualcuno, va scolpito sulla facciata interna di questo sepolcro redazionale in cui la dolce pendenza della mesta Italia ci ha fatto scivolare, senza che ce ne accorgessimo.

Come Beatrix Kiddo in Kill Bill, quando Budd "Sidewinder" la inchiodava in una bara ancora viva. The Bribe si rammentava gli insegnamenti di Pai Mei e alla fine spaccava il legno da dentro, a pugni. L'amico Zardo, alieno alle arti marziali, si contenterà di scrivere lì dentro, come hittiti e sumeri, scrivere, tracciare una storia. Un giorno una civiltà aliena la troverà, lì scolpita: per ora sono le parole a farmi sentire ancora vivo, come se da quelle lettere incise sull'ebano trapelasse un filo d'aria pura. Tutto questo durerà due mesi. Oggi è il mio terzo giorno di lavoro, e il terzo giorno di Wimbledon 2008.

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